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panorama

Alberto Gianfreda

Desio 1981

Vive e lavora a Desio e a Milano

Studio visit Lorenzo Madaro

Con il rigore che gli è proprio quando precisa i punti fondanti del suo lavoro e del perimetro della propria ricerca, all’ingresso del suo spazio Alberto Gianfreda mi dice prontamente: «Per me lo studio è paesaggio». Alberto infatti ha una capacità estrema di raccontarsi, con parole studiatissime, sarà perché ha sempre praticato la didattica come parte integrante della propria ricerca (attualmente insegna all’Accademia di Carrara, dopo lunghi anni a Brera, dove si è formato). Ma il paesaggio si trasforma e cambia pelle e questo spazio silenzioso accoglie opere di diverse datazioni, sin dai suoi esordi di oltre quindici anni fa. È il luogo del fare, d’altronde Gianfreda è homo faber, ama le potenzialità della scultura e la vive pienamente sin dai suoi anni di formazione, quando ha allenato il proprio sguardo e la propria percezione delle cose studiando la scultura di Pietro Consagra, di Chillida e di altri maestri che hanno considerato il gesto come un atto plastico in grado di originare nuove spazialità. Riflettendo su questo solco, Alberto Gianfreda indaga la materia e le sue metamorfosi, ma anche e soprattutto i rapporti profondi che si instaurano tra le forze interne di questi elementi (marmo, acciaio, legno, terracotta, porcellana), quando coabitano e quando si contestano, anche con veemenza. Staticità e movimento sono i poli su cui si imposta il suo discorso. Il valore del lavoro di Gianfreda nel contesto dell’arte attuale sta proprio nella sua capacità di entrare nelle viscere della forma, rinunciando alla retorica della narrazione, generando un discorso seminale attorno a una materia in grado di partorire relazioni ma anche variazioni. La scultura di Gianfreda, infatti, va toccata, è sensuale nel suo essere a volte scabra, altre acuminata, altre ancora quasi rischiosa per chi pretenda di avvicinarsi ai suoi perimetri espansi. Sugli scaffali e sul pavimento dello studio di Desio ho la possibilità di compiere un percorso panoramico su tutto il suo lavoro, attorno ai temi dell’identità (la materia è infatti un luogo in cui presagire una geografia, ma anche un carattere estremamente connesso con luoghi e spazi e quindi persone, storie) e della relazione. Lo si capisce da opere come Riunire il disperso (2003-2005), dove un blocco ferroso abbraccia altre porzioni di materia aniconica, ma anche nel ciclo Frequenze, avviato nel 2005 e concluso nel 2010, dove una fascia ferrosa restringe in un unico blocco trasformabile elementi di legno altrimenti lontanissimi e incompatibili tra loro. Il lavoro di Gianfreda ci insegna il valore intimo di una parola oggi quanto mai abusata, ovvero “resilienza”. In questo panorama intimo che è lo studio di Alberto, capiamo fino in fondo questa capacità dell’arte di trasformare energie sotterranee e contrastanti in nuove forme, in grado di relazionarsi anche con la dimensione aperta dello spazio pubblico, su cui si è confrontato in diverse occasioni. «Per me la realtà è fatta di tante cose estremamente complesse e articolate» e per investigarla rinuncia alla costruzione di immagini, preferendo rintracciare persistenze, segni, come nel caso delle porcellane cinesi che frantuma e ricostruisce nel ciclo dei vasi, in grado di trasformarsi grazie a uno scheletro di catene. Il corpo interno ed esterno del vaso muta, così come la forza iconica preesistente. Ed è qui l’essenza primigenia del discorso di Gianfreda, che viene portato alle sue estreme conseguenze con Progetto Italia, una grande installazione concepita ultimamente (e già esposta nel bellissimo stand della Galleria Verolino all’ultimo Miart e in precedenza a Casa Testori) per generare una serie di meditazioni complesse sulla forma della scultura, in relazione al senso della tradizione artigianale di diciotto città italiane e a una sollecitazione su un tema di stretta attualità, quello della distruzione. Italia si concentra sul tema della distruzione: diciotto laboratori artigianali italiani hanno, difatti, destinato all’artista uno o più pezzi della propria produzione, decorati con i disegni tradizionali, che Gianfreda ha documentato con la macchina fotografica per poi spaccarli con un martello trasformando irrimediabilmente la loro consistenza. Si concepiscono così frammenti di differenti dimensioni, rimontati su un grande scheletro morbido metallico. È una pratica che Gianfreda porta avanti da tempo. «Italia – suggerisce Alberto – è un progetto che si fonda sulla volontà di raccontare un territorio come quello nazionale partendo da elementi fortemente identitari come le ceramiche. Ho coinvolto i migliori ceramisti italiani che hanno donato una delle loro opere più rappresentative, consapevoli che sarebbero state distrutte per poi accostarle a quelle di altri. Un gesto di fiducia, quindi», aggiunge. Gianfreda ci fa comprendere che il gesto è esso stesso scultura, perciò rompere oggetti e vasi provenienti dalle botteghe di tutta la nazione, per poi ripensarli, insieme, in un unico flusso di materia attraverso una scultura che epidermicamente vive a parete, significa ripensare il concetto stesso di materia scultorea, rielaborarla e restituirla con un’altra configurazione. La drammaticità di un gesto demolitore si tramuta immediatamente nella studiata genesi della ricostruzione, che in maniera catartica rimette ordine a un apparente caos. Ed è qui che va rintracciato il senso del lavoro di Gianfreda, ovvero nella sua attitudine destinata a una nuova riorganizzazione delle cose.