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panorama

Agnese Spolverini

Viterbo 1994

Vive e lavora a Viterbo

Studio visit di Marco Trulli
3 giugno 2022

Il nuovo studio di Agnese Spolverini si trova in una via piuttosto vivace del quartiere di San Faustino a Viterbo, tra botteghe migranti e spazi associativi. Lo studio, precedentemente una bottega artigianale di ceramica, è articolato in due sale, una di accesso, in cui l’artista lavora, e la seconda con una predisposizione espositiva, in cui trovo allestite alcune opere in lattice nero e stampe fotografiche. La ricerca di Spolverini spazia tra diversi media, dall’installazione al video fino al sonoro, nel tentativo continuo di aprire dialoghi e connessioni empatiche, erotiche, tra il pubblico e l’opera. Le sue opere, spesso, si caratterizzano come situazioni o ambienti seducenti che accolgono chi guarda, nel tentativo di generare una carica immaginativa ed emozionale che alimenta suggestioni e connessioni di senso. In questo, la luce ha un ruolo fondamentale, direziona i sensi e contribuisce a creare una dimensione intima e avvolgente. Ogni lavoro è un tentativo di costruire un insieme misterioso, ambiguo, che attrae e cerca di coinvolgere su un piano sensoriale ed emotivo chi osserva, aprendo possibilità molteplici di interpretare e accedere a un campo sensibile di significati e di percezioni. Questo insieme viene generato spesso da una stratificazione di linguaggi e tecniche e, oltre alla luce, anche il sonoro è spesso presente nei lavori di Spolverini, a volte attraverso la stessa voce dell’artista, come in La Boum (2021), in cui canta in modo sensuale e impacciato la celebre Reality, tratta dal film generazionale Il tempo delle mele. Così, i lavori sono dispositivi incerti e ambigui, che possono essere decifrati da ciascuno in maniera differente, secondo la propria predisposizione, memoria ed esperienza personale.

Rispetto alle fasi di ricerca dell’artista, gli ultimi lavori stanno affrontando in maniera sempre più netta il rapporto tra dimensione intima e ambizione pubblica, costruendo nessi poetici con il territorio. In Meet Me at the End of the World (2021), l’artista realizza una serie di installazioni nel paesaggio di Calderara di Reno, in cui riflette sulle contraddizioni dello sviluppo territoriale e sull’impatto devastante dell’uomo sull’ambiente. Le opere sono un dispositivo per osservare un paesaggio disastrato, una sorta di fine del mondo su cui l’artista invita a porre lo sguardo senza adottare toni moralistici, ma sempre attraverso uno sguardo poetico. La scrittura è il linguaggio che lega diversi lavori, spesso matrice, idea generativa di un lavoro, oppure corollario, appendice necessaria in questo processo fluido di relazione interiore con i luoghi. Nel 2021, per Una boccata d’arte, ad Abbateggio in Abruzzo, l’artista realizza un lavoro stratificato in tre parti, che indaga il lavoro nelle miniere, attive fino agli anni Sessanta, per l’estrazione del bitume. Il rapporto del paese con il lavoro delle miniere si esprime attraverso, ancora una volta, l’utilizzo del testo e della luce, oltre a una serie di sculture in lattice nero diffuse nel paese. Un arco di luce che si svela con il buio è la riconnessione sentimentale tra il paese e la memoria del lavoro delle miniere e si lega alla storia di Vincenzo Di Paolo, tecnico delle miniere che ha lasciato testi e disegni come tracce di un amore viscerale per questa terra. La visione disegnata da Di Paolo, che racconta il percorso delle lanterne dei minatori che discendono la valle a fine turno, ispira l’artista per un omaggio di luce, per riconoscere nel buio lo spirito collettivo e cooperante di una comunità. In effetti l’assenza di luce è un fattore che l’artista utilizza spesso per indagare le possibilità di lavorare sulla sottrazione, sulla percezione del buio come luogo magico, come rifugio intimo, spazio-tempo non funzionale. In questa fase, l’artista sta riflettendo molto su nuove direzioni da prendere con la sua ricerca, cercando di approfondire la modalità congiuntiva di generazione del significato, cioè senza inseguire schemi e strutture preordinate, ma basandosi proprio sulla dimensione empatica, sensoriale e corporea delle relazioni. Un altro tema di riflessione è l’utilizzo del corpo, finora evocato solo attraverso l’assenza, quasi come un fantasma e che l’artista intende mettere più in gioco in futuro, combattendo i propri timori. La ricerca di Spolverini, dunque, è in piena evoluzione e ambisce a misurarsi nuovamente con contesti e immaginari pubblici per consolidare la capacità di intessere discorsi seduttivi tra opera e pubblico.