Roma 1995
Vive e lavora a New York
Studio visit di Elisa Carollo
Agnes Questionmark si definisce un’artista transmediale, e transpecies. Si è formata, sia a livello personale che artistico soprattutto all’estero, prima a Londra e ora a New York. La sua ricerca si articola attorno al concetto di meta-corpo e alle sue possibili trasformazioni a partire da un elemento ancestrale, ed essenziale alla vita, come quello dell’acqua, dove è cresciuta, passando l’infanzia sulla barca del padre. Nello specifico, la sua opera parte da una fascinazione per il concetto di Homo Aquaticus – così per la prima volta definito da Max Westenhöfer in un visionario convegno del 1942, in cui profetizzava che l’uomo tecnologico avrebbe sviluppato device tali da sopravvivere nell’acqua, ritornando alla dimensione originaria della sua evoluzione.
Così, muovendosi su una linea liminale tra fantasia, fantascienza e scienza, Agnes visualizza quelli che potrebbero essere i risultati estremi, ma oggi fattibili, per nuovi possibili equilibri sia ecologici che sociali.
Agnes ha fatto del proprio corpo il medium di questa ricerca: mettendo alla prova la resistenza e la resilienza del corpo umano, esplora già uno stato ibrido fra inumano e più che umano, immaginando una possibile linea evolutiva alternativa che possa adattarsi a un mondo in costante cambiamento, o declino.
Alla base, domande rilevanti come le possibili evoluzioni del corpo in relazione ai cambiamenti ambientali, e l’idea di un post-umanesimo organico come unico futuro praticabile non solo per l’evoluzione, ma anche per la sopravvivenza della specie. Per esempio, nelle sue “performance underwater”, immergendosi all’interno di vasche d’acquario, Agnes ritorna a quello status fetale nel liquido amniotico da cui tutto è partito, ma dove anche tutto può ancora evolversi: un ritorno all’acqua come luogo di genesi e trasformazione di tutte le cose, «dimora della queerness, e della fluidità per eccellenza». Agnes ha del resto vissuto sulla propria pelle queste possibili mutazioni, sottoponendosi a una terapia ormonale. Il suo opus magnum, a oggi, TRANSGENESIS, è di fatto una messa in scena spettacolare di questa metamorfosi, in una installazione e performance di lunga durata (84 ore nel corso di 23 giorni consecutivi / 8 ore al giorno), all’interno di un centro sportivo abbandonato a Londra: un tunnel in resina di oltre 9 metri conduceva i visitatori a ripercorrere il processo evolutivo dallo stato embrionale allo sviluppo fetale, fino alla trasformazione epica finale in cui Agnes performava come creatura ibrida, monumentale, dalle sembianze di octopus, all’interno di una vasca abbandonata. Una performance, diventata battesimo della sua trasformazione personale, a rafforzare uno stretto legame fra arte ed esistenza. Andando ben oltre le rivendicazioni di genere, quello che è interessante nella ricerca di Agnes è questo concetto di Transpecies, che investiga le possibilità della scienza di esplorare e realizzare modalità alternative e ibride di convivenza e coesistenza non solo fra generi, ma anche fra specie.
Al momento della mia visita, nel suo nuovo studio in uno degli edifici del Pratt Institute a Brooklyn, attorno a noi c’era una serie di mood board contenenti figure marine ibride: fra mito, fantascienza e scienza, sirene e mostri marini si mescolano con immagini di feti in provetta, esperimenti genetici di varia natura che rivelano narrazioni, un tempo folkloristiche e adesso realtà possibili della nostra contemporaneità.
Al momento, Agnes sta ideando un progetto in cui metterà in scena una sorta di ritrovamento di sirena, da lei stessa personificata, poi sottoposta a un tavolo di analisi scientifiche come specie “aliena”. Parallelamente, tanti stimoli le stanno arrivando anche da questo nuovo percorso di studi e da un contesto come quello americano, dove sta prendendo contatti con ricercatori che, partendo da studi soprattutto di genetica e biologia, stanno trattando i medesimi temi.
La pratica di Agnes si presenta già a un livello di maturità, sia in termini di contenuti che di effettiva realizzazione, probabilmente priva di eguali nel contesto nazionale, soprattutto nell’ambito di queste tematiche che risultano qui ancora poco trattate in maniera così informata, e universale.
Proprio per questo, l’unico punto di debolezza è forse di non poter trovare, a oggi, un contesto e un pubblico adatto, pronto a riflettere, al di là di narrazioni ed estetiche stereotipate, su temi rilevanti come quelli da lei trattati. L’aspetto che rende il lavoro di Agnes un unicum prezioso nel panorama degli artisti italiani, è il suo portarci direttamente ed esperienzialmente a confrontarci con il fatto che l’evoluzione umana è anche evoluzione scientifica e tecnologica, che sta modificando i corpi e la nostra relazione e percezione di questi, con la possibilità di trascendere i limiti non solo della nostra fisionomia, ma della nostra stessa struttura esistenziale, concepita, fino a oggi, all’interno di una visione antropocentrica del mondo.