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panorama

Agne Raceviciute

Klaipeda (Lituania) 1988
Vive e lavora a Venezia
Studio visit di Elena Forin
16 giugno 2024

Agne Raceviciute è nata in Lituania, ma da molti anni vive in Italia. È tanto italiana quanto lituana, o forse nessuna delle due cose. Più probabilmente la sua identità è fatta di queste radici e di molte altre ancora, come si evince dal suo lavoro, che mette a fuoco uno sguardo libero di osservare, senza i vincoli di una cultura precisa o chiaramente circoscritta. La prima volta che ho sentito parlare di lei è stato quando, ormai tanto tempo fa, Urs Lüthi mi ha raccontato che nella sua indagine ritrovava molti aspetti della pratica di Raceviciute: non una parentela formale, aveva precisato, ma un simile modo di fare attenzione alle cose.

La sua ricerca rivela una tensione tra momenti di energia e di profonda quiete: ogni sua opera sembra infatti mossa da potenti raffiche di vento a cui si alternano fasi di silenzio e stasi, in cui i significati e le sensazioni si liberano − e così la poesia che affida alle sue narrazioni. A livello tematico, molte delle tracce che caratterizzano il panorama internazionale contemporaneo si trovano da sempre nei suoi interessi: fin dagli esordi il suo universo richiama ispirazioni, gesti, strumenti e pratiche legate al folklore e alle tradizioni popolari, a una profonda comunione col mondo naturale e a forme di ecologia politica e sociale. Ad essere unico è il rapporto con il tempo, che sempre nelle sue opere è sospeso, e che più che appartenere a uno specifico momento della storia, abbraccia una prospettiva più trasversalmente umana.

Alcuni aspetti connotano l’estetica del suo linguaggio in maniera piuttosto forte: l’uso del bianco e nero, ad esempio, tanto nelle fotografie quanto nelle performance o negli oggetti, è impiegato con gradienti di contrasto e saturazione unici, ponendo i suoi soggetti in tensione tra la definizione dell’immagine e una certa capacità mimetica e di assorbimento del contesto.

In questo momento l’artista sta lavorando alla struttura di un grande progetto, in dialogo con alcuni materiali di ricerca, che prenderà le forme di un cortometraggio. Tra questi mi ha mostrato degli acquerelli su foto, sorprendenti per senso del colore, preziosità dei dettagli, costruzione scenica, temperatura degli ambienti, natura dei personaggi e loro relazione con l’ambiente. L’elemento principale sarà però affidato alla narrazione di una storia attraverso immagini in movimento, la cui suggestione deriva da due fonti: una frase di Hannah Arendt che parla del suo passaggio dalla Cecoslovacchia alla Germania, e un’esperienza di residenza al confine tra Lituania e Bielorussia in una comunità contadina che vive secondo leggi arcaiche. In questo luogo, simbolo di una relazione complessa ma autentica con la natura e le sue leggi, attraversato chiaramente dalle tensioni politiche della guerra in atto, Raceviciute ambienterà la storia di una donna che varcherà la soglia di diverse case rurali. Queste costruzioni in legno mangiate dal vento, al centro di lande aperte o prossime a boschi e foreste, raccontano, tra resistenza e sgretolamento, un passato che sta scomparendo e le difficoltà dell’individuo nel presente. Sono luoghi estremi, dove tutto finisce e dove il senso del confine si annulla: nell’entrare e uscire da questi ruderi, la protagonista cambia personalità e aspetto, trasformando se stessa a ogni passaggio e mostrando la fatica di trovare un’identità stabile in un processo di migrazione perpetua. In questo video, mi dice, “oltre all’immagine sarà importante la componente audio: in passato il mio lavoro ha spesso vissuto nel silenzio, mentre questa volta lavorerò sul sonoro, dosandolo”.

La sua pratica prevede lunghe fasi di ricerca e di realizzazione: possono volerci mesi come anni per produrre un lavoro e questo senz’altro la allontana sia dalle dinamiche del sistema espositivo che da quelle del mercato contemporaneo, che richiede una presenza assidua e costante.

Ciò che è però importante specificare all’intero di questa prospettiva, è che tale dinamica non deriva solamente da una ricerca improntata sullo studio e sulle necessarie relazioni con altre figure (come scrittori, filosofi, antropologi) ma è conseguenza di una precisa responsabilità che Raceviciute assume nei confronti della produzione. La libertà con cui gestisce tempi, significati e risultati visivi nasce infatti tanto da una forma di ecologia dei progetti e dei singoli lavori, quanto da un’attenta valutazione del lascito che l’artista attua attraverso ogni sua opera: parlare della condizione umana significa chiedersi quanto e cosa ha senso realizzare affinché un patrimonio possa essere puntuale, per comunicare solo quei valori e quegli indici monumentali che hanno la capacità di resistere al tempo.