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panorama

Mattia Pajè

Melzo 1991

Vive e lavora a Bologna

Studio visit di Giacinto Di Pietrantonio

Mattia Pajè ha studiato all’Accademia di Belle Arti di Bologna; cinque anni di pittura con Luca Caccioni «una scuola aperta, zona abbastanza franca dell’istruzione in cui ho potuto contemporaneamente transitare in altri corsi di pittura, di Mundula, Pulini, Novali, Pellegrini, compreso un Erasmus alla Fine Arts University Mimar Sinan di Istanbul». Con un percorso steineriano dall’asilo al liceo scientifico, il suo è un metodo basato fondamentalmente sulla forza della scienza dello spirito su tutto ciò che è invisibile, intellegibile, occulto, come qualcosa da esperire e sperimentare nella vita e nel lavoro. «Da bambino ho sperimentato molto, dalla scultura alla falegnameria, e lavorato tante materie: creta, legno, cera, metallo, scolpito varie pietre come l’arenaria, imparato tessiture di vario genere». In questo modo acquisisce una multi-manualità che gli permette di realizzare molte delle sue opere da solo, tranne quanto c’è bisogno di utilizzare tecniche specialistiche. Oltre alla manualità ha una forte capacità progettuale e relazionale che lo porta, con alcuni amici, Marco Casella e Filippo Marzocchi, ad aprire nel 2016 lo spazio espositivo e di dibattito no-profit Gelateria sogni di ghiaccio, che dal 2019 conduce da solo: «Anche in questo caso ritorna l’impostazione steineriana, in cui si viene abituati a vivere con tante persone diverse con le quali confrontarsi e costantemente condividere. È pure una questione generazionale, perché la pratica artistica giovane doveva trovare uno sbocco e quindi spontaneamente, come è successo in altre città, abbiamo aperto uno spazio nato da una necessità, ovvero quella di esporre, ma anche di far esporre artisti più grandi e vederli lavorare, così come di creare uno spazio per gli artisti locali». Dunque Pajè è un uomo d’azione a 360 gradi, che non si fa mancare l’aspetto della teoria, pubblicando, nel 2022, un libro intitolato 1. Qui raccoglie immagini e testi selezionati e rielaborati degli ultimi dieci anni dei suoi taccuini, inserendovi sei testi  che riflettono sul concetto di verità, chiesti ad altrettante persone di diversissime provenienze culturali: «in passato ho molto creduto nella verità, ma poi ho desistito. La verità in senso assoluto non esiste, c’è la verità individuale. È un dibattito interessante, perché chiunque ha la pretesa di verità, soprattutto i media». I suoi scritti e disegni riguardano una serie di pratiche, ricette, cose apprese in giro, quasi tutte riferite alla cura del sé, alla centratura, alla presenza, agli stati di coscienza senza usare sostanze bensì i sogni, «La mia verità. Tuttavia Pajè dice di non essere interessato a dare risposte, ma a estendere il campo delle possibilità, «senza la pretesa di creare verità, ma di smontarle». Lo vediamo nella mostra di Palazzo Vizzani a Bologna, curata, come il libro, da Giovanni Rendina, nata da una riflessione sugli ultimi due anni, in cui ha utilizzato scenografie provenienti dagli studi di Mediaset. Luoghi in cui si fabbricano verità illusorie come Striscia la notizia, i programmi di Barbara D’Urso, fino al pupazzo One della trasmissione degli anni Novanta Bim bum bam; i loghi di rete 4, Italia 1, non presi come ready made, ma rimaneggiati, riallestiti in un contesto quasi paesaggistico in dialogo con quello visivo del movimento new age; una serie di oggetti magico-attivatori per la cura del sé provenienti dal mondo editoriale/social blog online, auto-costruiti come gli orgoniti… altra pretesa di verità. «È stato interessante mettere a confronto questi mondi con la pretesa di verità».

Pajè è anche un artista che disegna e dipinge molto, ma senza mostrarne i risultati e quando provo a chiedergli il perché, la risposta è: «Per me il disegno è un momento di tranquillità non legato al fatto che debba diventare opere, sono tranquilli momenti liberatori. Al contrario, quando mi devo interfacciare con uno spazio, un tempo che ha una sua complessità, spesso mi viene da pensare a cose che hanno a che fare con lo spazio, con la scultura, con altro. Infatti non vedo l’ora di andare in vacanza per mettermi a disegnare.». Oggi usa anche lo smartphone per prendere appunti e schizzare, utilizzando un po’ meno i taccuini. Tiene separati i quaderni da disegno e quelli per gli appunti in cui i disegni appaiono solo in forma di schizzi per gli scritti. Ci tiene anche a dire di aver fatto recentemente un intervento permanente, curato da Matilde Galletti, sui frangiflutti del porto di porto San Giorgio in cui, similmente alle Pioneer Plaques della NASA, ha inciso un messaggio in codice binario per entità extraterrestri su due placche di ottone di 70×100 cm.

E allora: buon viaggio nell’extramondo di Mattia Pajè!