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panorama

Marilisa Cosello

Salerno 1978
Vive e lavora a Milano
Studio visit di Angel Moya Garcia
30 maggio 2024

Dopo essersi diplomata in Arti Visive in Inghilterra, Marilisa Cosello si è laureata in Storia del Cinema a Milano e ha conseguito un master in Fotografia alla Noorderlicht School. Il suo percorso è iniziato lavorando come fotografa di news, interpretando in questo contesto il mezzo fotografico come strumento democratico legato all’analisi della realtà. Dopo cinque anni di ricerca, la conclusione che lo sguardo sul reale non possa mai essere oggettivo o neutrale la spinge a indagare la fotografia come modalità di pensiero e come possibile strumento per far emergere una propria ipotesi di realtà.

La sua pratica artistica è caratterizzata dalla partecipazione del corpo finalizzata all’attivazione di un dialogo tra storia, cultura e strutture sociali, attraverso fotografia, film, scultura e soprattutto performance. Le sue opere si concentrano su tematiche collettive e individuali, esplorando il potere politico all’interno dei dispositivi di controllo. Il contesto familiare, la scuola, il lavoro e le normative sociali e giuridiche si configurano come apparati disciplinati, le cui regole sono definite e condivise dalla collettività. L’artista studia queste strutture per comprendere come possano essere sintetizzate, al fine di trasmettere il modo in cui gli esseri umani interagiscono con norme che, in ultima analisi, creano confini di relazione e convivenza. Così, il lavoro di Cosello fonde diverse forme di indagine sul potere, sovrapponendo pubblico e privato, rituali familiari e archetipi collettivi, configurando la sua ricerca come una riflessione sulla natura politica del corpo individuale e sull’impatto delle dinamiche di potere nella storia delle comunità.

Nei suoi lavori, il mito della bellezza e l’ambizione di raggiungerlo, che permeano gran parte della storia dell’arte italiana, si contrappongono a ricerche più crude, scarne e schiette, sviluppate in altri progetti. Questa dualità definisce un’ossessione che l’artista cerca di sublimare e demolire simultaneamente, intrecciando etica ed estetica in un’unica ricerca. L’artista si confronta con il pensiero dell’osservato, creando lo scheletro delle problematiche di certe strutture mentali, sintetizzando scenografie e narrative in poche azioni, nelle quali il corpo racconta altro. In questo senso, prediligendo l’osservazione alla valutazione, l’artista traduce ciò che vede in un’indagine sulla condizione umana, focalizzandosi sulla società capitalistica, regolamentata e confinata in sé stessa.

L’interesse verso lo scarto tra visione, percezione e aspettative induce l’artista a decontestualizzare e decostruire l’immaginario collettivo, che può riguardare un momento sportivo o un contesto scolastico o familiare, creando uno slittamento del reale da cui emerge una narrativa violenta e sotterranea nel momento stesso in cui viene osservata. Recentemente, ha presentato a Milano due performance legate al progetto performativo Try, iniziato nel 2020, che consiste nella riproposizione di attività sportive in spazi pubblici o deputati all’arte. Una sessione di lotta greco-romana in Piazza Affari a Milano, strutturata su due round di circa tre minuti ciascuno e ripetuta diverse volte durante la serata, e sessioni di incontri di braccio di ferro femminile presso la sede dello studio legale ADVANT Nctm, focalizzavano l’attenzione sul corpo femminile, sulle dinamiche di genere, sulle tensioni tra autonomia e aspettative e sulle strutture sociali e di potere che regolano la nostra esistenza.

Un aspetto potenzialmente critico nel suo lavoro risiede nella possibilità di cadere nella stessa trappola che cerca di affrontare, sia intellettualmente che formalmente. Il mito della bellezza, la forma senza sbavature o errori, la sicurezza della formalizzazione e la chiarezza della presentazione possono rischiare di attenuare la complessa stratificazione dei contenuti, che potrebbero essere sommersi e celati da un’estetica seducente e dominante al primo sguardo.

Tuttavia, nonostante la maniacale cura nella presentazione, nei suoi lavori emerge una violenza e un dolore non dichiarati ma suggeriti, che esplodono silenziosamente nella conversione di aspetti ludici in momenti intensi per lo spettatore. Questo avviene attraverso la reiterazione disciplinata dell’azione, la sofferenza dei corpi dei performer, stanchi e stremati, e la durata prolungata, insistente e ostinata della rappresentazione, che amplificano l’impatto emotivo e concettuale dell’opera.