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panorama

Luca Marcelli Pitzalis

Cagliari 1995
Vive e lavora a Viterbo
Studio visit di Marco Trulli

Luca Marcelli Pitzalis dopo alcuni anni di studio e lavoro a Milano si è di recente stabilito in un nuovo studio a Viterbo in condivisione con l’artista Agnese Spolverini. La sua formazione ibrida (Triennale in Psicologia e Biennio specialistico in Nuove tecnologie a Brera) lo porta a concentrarsi sull’esplorazione delle soggettività, sul rapporto tra interno ed esterno delle identità e sulla vulnerabilità come condizione di crisi costante. Questo approccio psicologico e introspettivo alla pratica artistica si manifesta attraverso performance, installazioni, scrittura di canzoni o newsletter e soprattutto opere sonore.

Nel suo studio le pareti ospitano appunti e testi che sono sceneggiature o appunti di nuovi lavori, testimonianze di una ricerca verbale che è in piena evoluzione e che è spinta dalla necessità di tradurre l’intimo in pubblico, il privato in collettivo. Questa esigenza lo porta a definire una formalizzazione in manifesti o bandiere che riportano testi intimi, elaborazioni di fallimenti o esposizioni di fragilità interiore. In Manifesto (2021) l’artista decide di verbalizzare il suo stato di crisi interiore rispetto alla partecipazione a una mostra tematica sulla tempesta e racconta la tempesta interiore che mette in discussione le sue intenzioni artistiche. Quest’opera viene definita dallo stesso artista uno spartiacque nella sua pratica, perché gli ha consentito di orientare in maniera decisa le ricerche recenti e di perseguire il suo personale rigetto verso la pressione della cultura del prodotto nell’arte, della performatività richiesta dal sistema artistico. Il fallimento e la vulnerabilità diventano allora manifesto di una condizione esistenziale probabilmente epocale, connessa alle crisi globali, all’incertezza del futuro alle contraddizioni del sistema capitalistico che impattano da vicino anche nel mondo dell’arte, in cui l’artista si sottrae all’esercizio della forma per una protesta silenziosa, intimamente politica.

L’utilizzo che l’artista fa della voce come medium recupera una forma di comunicazione primigenia e autentica tra interno ed esterno, è lo svelamento di una materia sonora che possiede un corpo e una densità e che, di recente, si sta concentrando sui suoni preverbali e postverbali, nell’ottica di un superamento delle costrizioni del significato.

Nella realizzazione dei lavori testuali l’artista, alla completa esposizione del sé contrappone però una dimensione di impersonalità nella traduzione formale, usando caratteri codificati e mantenendo un approccio rigoroso e minimale che gli consentono di realizzare un ibrido tra stato emotivo personale e dichiarazione pubblica, con un’estetica di chiara matrice digitale.

Mostrandomi i lavori in fase di definizione, Marcelli mi presenta Goodnight Goodnight, opera video a cui sta lavorando da diverso tempo e che è strutturata con un flusso di immagini che sembrano un concatenarsi di situazioni apocalittiche, una sorta di notte del mondo accompagnata da un canto lento, come una ninna nanna. Questo tentativo di esorcizzare il caos attraverso un dispositivo sonoro mi ricorda la performance The Song, per Spazio Gamma a Milano, in cui intonava un ritornello dentro un frastuono di suoni collezionati da video di cover musicali. Progressivamente l’artista cercava uno spazio di rifugio e rassicurazione in una coralità di voci, una pluralità in grado di salvarci dal caos.

La crisi e la cura sono due aspetti opposti e comuni della ricerca di Marcelli Pitzalis. Ogni opera è un’esternazione di uno stato di fragilità, la ricerca di una inadeguatezza che definisce una soglia di crisi ma, allo stesso tempo, ne è un dispositivo di cura, un tentativo di riconfigurare ogni volta un canto, un testo che esorcizza questo stato e lo condivide con una pluralità di sguardi e sensibilità.

Sul piano formale la ricerca dell’artista punta fortemente alla smaterializzazione, a una forma nuda e asciutta che nei lavori testuali si manifesta con una estetica frammentaria dell’appunto, mentre nelle opere sonore emerge in maniera più rotonda e potente, come nell’installazione Le voci (2020).