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panorama

Italo Zuffi

Imola 1969

Vive e lavora a Milano

Studio visit di Marco Scotti

Quando incontro Italo Zuffi si è chiusa da poco Fronte e retro, la sua mostra personale a Bologna sdoppiata tra gli spazi del MAMbo, per una retrospettiva, e di Palazzo De’ Toschi, per un allestimento di lavori più recenti e prodotti per l’occasione. Zuffi sta ancora riorganizzando i lavori di ritorno e assimilando l’esperienza: le occasioni espositive non sono state numerose in questi ultimi anni e, come ricorda il direttore del museo Lorenzo Balbi nella pubblicazione uscita in concomitanza con la mostra, dedicare una monografica a questo artista è prima di tutto un atto politico. È l’occasione per guardare alla coerenza della sua pratica artistica, che dalla metà degli anni Novanta, tramite dinamiche performative e installative, esplora tensioni e competizioni, parte da una messa in scena del gesto, interroga e provoca il sistema dell’arte, ragiona sullo spazio come sul testo, consolidandosi con il passare degli anni. Non a caso, oggi, il suo studio milanese è anche un archivio, uno spazio al tempo stesso affascinante e protetto, dove tutto è ordinato con cura. Una serie di raccoglitori, divisi per tecnica, contiene i suoi progetti per opere ancora da realizzare: nel corso degli anni, indipendentemente dalle occasioni espositive, Zuffi ha sempre continuato a progettare.

La mostra al MAMbo era costruita a partire da una selezione di lavori che rappresentavano degli snodi in un percorso, scelti tra un corpus decisamente più ampio. E proprio questi snodi, che Zuffi è il primo a mettere in luce in una visione retrospettiva, ci hanno restituito il significato del suo lavoro rispetto a un contesto storico: osservatori astronomici, in gesso, con ipotesi di graffiti e ‘trasportabili’, oppure in legno dipinto, deflagrati; gare di bocce giocate con la frutta, oggetti geometrici che, grazie a un testo riportato sopra, restituiscono distanze e confronti, liste di artisti, gallerie e curatori, spazi e materiali indagati fino all’essenzialità. Contrasti e prese di posizione, che piano piano mettevano a fuoco il rapporto tra artista e ambiente in cui si trova a operare.

Ora Italo Zuffi sta lavorando soprattutto con la scrittura, sia in forma di testi brevi poetici sia di lavori più legati a una pratica artistica. Su uno dei tavoli dello studio troviamo una copia del suo libro Poesie doppie, edito nel 2019 da Sete, accanto a Civilizzarsi. Questo lavoro del 2021, una serie di triangoli di alluminio all’interno dei quali frasi brevi descrivono semplici azioni, costruendorelazioni e sintesi, ritrova qui in studio il dialogo già al centro della mostra di Palazzo De’ Toschi con l’opera Gli ignari (2021). Questa installazione a muro, pensata in una prima versione per una mostra in un appartamento milanese nel 2013, affianca una serie di riproduzioni in ceramica di baccelli di fagioli, accompagnati da un coro di fischi. Ci sono poi, chiusi tra i faldoni dello studio, serie di sculture ancora in potenza, come l’azione che prevedeva il lancio di alcune forme in cera d’api dalla Torre degli Asinelli di Bologna, un’investigazione sulla gravità e la forza di Coriolis e un modo per vedere il suo lavoro distruggersi.

Una distinzione fondamentale nella visione dell’artista è quella tra progetti non realizzati, ma ancora realizzabili, e quelli che invece non sono più possibili. Tra questi ne sfogliamo uno del 1997, pensato ai tempi in cui Zuffi studiava a Londra, per una colata di cera sul pavimento in legno del Central Saint Martins College, il cui volume sarebbe stato corrispondente a quello del corpo dell’artista. L’edificio oggi è stato demolito, rendendo il progetto non più praticabile. 

Nel 2015 Zuffi inizia a insegnare all’Accademia di Belle Arti di L’Aquila, e da quest’anno insegna invece a Milano, all’Accademia di Brera. L’insegnamento è per lui un’esperienza essenziale, ricercata assiduamente fin dai primi anni Duemila. È lui stesso a sottolinearne l’importanza, prima di tutto per la gratificazione derivante dal dialogo con gli studenti, simile, anche più immediata, rispetto a quella che in genere si ottiene con la pratica artistica. Alla Libera Università di Bolzano si è invece dedicato all’insegnamento all’interno dello Studio di performance, un linguaggio che l’artista ha messo al centro della sua pratica e attraverso il quale continua a indagare dinamiche quotidiane e meccanismi di potere, omologazione e accettazione. L’insegnamento si è fuso così con la ricerca espressiva, una pratica oggi ‘rasserenata’, vale a dire esercitata con meno tensioni che in passato, come la definisce lui stesso.

Davide Ferri, in conversazione con Lorenzo Balbi, sulla recente monografia edita da Corrainiparla spesso di rabbia nel lavoro di questo artista. Rotture, lanci, spinte, sono un elemento ricorrente. Se è vero che ci sono stati anni in cui l’artista si era allontanato dal sistema delle gallerie, è altrettanto vero che il mercato ha mostrato momenti di disinteresse, episodi verso cui alcuni suoi lavori possono essere visti come reazioni. Italo Zuffi, nel suo percorso, ha compreso come per certe forme di riconoscimento fossero necessari tempi lunghi. «Anche nei periodi in cui l’attività espositiva è stata meno regolare, ho cercato di mantenere in attività la mia sorgente espressiva, dedicandomi anche a poche opere oppure progettando. Da qualche tempo questo desiderio di continuità si è riaffermato, suggerendo ulteriori esiti per la mia ricerca».