Roma 1976
Vive e lavora a Pesaro
Studio visit di Marco Trulli
Lo studio di Gabriele Arruzzo si trova non lontano dal centro storico di Pesaro, città in cui è si è sedimentata buona parte del suo immaginario. Arruzzo è un artista che focalizza tutta la sua ricerca su una pittura dall’impianto grafico in grado di mischiare e connettere mondi e generi diversi, storie antiche e immaginari contemporanei dentro uno sviluppo del quadro articolato su riferimenti enigmatici e metaforici. La sua formazione è legata alla cosiddetta Scuola del Libro (l’attuale liceo artistico) di Urbino, dove studia Grafica pubblicitaria e poi all’Accademia di Belle Arti sempre ad Urbino, dove attualmente insegna. Oltre agli studi formali, a concorrere in maniera determinante alla formazione di un immaginario personale è stato anche l’attivismo nel writing negli anni Novanta. Questi immaginari entrano in dialogo e in collisione nella fase compositiva dell’opera, quando l’artista lavora digitalmente in modo freddo e razionale alla selezione di immagini provenienti dalle fonti più disparate, digitali o cartacee. Quella pittorica, invece, è la fase calda della lavorazione in cui attraverso smalti industriali e colori acrilici, l’artista cerca di restituire una sensazione propriamente tattile alla pittura. Da diversi anni Arruzzo tende a realizzare nei suoi quadri delle situazioni pittoriche, scene in cui in atto è una rappresentazione che apre a nuovi piani e connessioni tra mondi diversi. Si potrebbe definire uno sviluppo concentrico delle scene, poiché spesso esse si realizzano per compenetrazione di immagini e piani, ogni scena ne contiene o ne rimanda un’altra e, in fondo, le tele rappresentate nei quadri sono lo spazio vuoto, la scintilla intorno alla quale si attiva una sorta di narrazione che parla del quadro stesso. Il processo tecnico ideato gli consente di procedere non tanto attraverso il disegno quanto con la riproduzione di brani di immagini trovate. Il meccanismo combinatorio è completato appositamente dall’apporto pittorico, per fare dell’opera un atto unico, per possedere e controllare ogni segno riportato sulla tela. Ogni suo quadro, infatti, ha una bibliografia di riferimenti e nasconde una tessitura di sguardi, una trama orchestrata di posture e gesti nello spazio con lo scopo di definire un’atmosfera aneddotica, allusiva.
Il lavoro di Arruzzo è consapevolmente postmoderno nella misura in cui è un pastiche di stratificazioni di epoche e riferimenti diversi, in cui si costruisce una nuova narrazione che trova origine e spunto, ad esempio, nelle rappresentazioni sacre, ma in cui si ritrovano figurazioni popolari e colte di varie epoche, dalle incisioni di Dürer alle carte dei tarocchi fino a contaminazioni più contemporanee. Le atmosfere sono sospese e in bilico nella narrazione del quadro, il tempo delle opere di Arruzzo è lo spazio pittorico in cui ogni soggetto si ricolloca perdendo parte del proprio carattere originario per immergersi nel clima enigmatico dell’opera stessa. Il segno così marcato delle figure, lo stile grafico-illustrativo e, ancor più, le scene costruite secondo geometrie narrative precise, rendono il lavoro di Arruzzo molto riconoscibile e identificabile ma non per questo uniformato e sempre uguale. Il campo di sperimentazione e di evoluzione per l’artista sembra essere, oltre a una composizione diventata negli anni molto complessa, quello cromatico, dove è passato da un uso dei colori più saturi a quelli neutri come l’argento.
I quadri di Arruzzo sembrano rielaborare la fine delle grandi narrazioni, usando immaginari, riferimenti filosofici e visivi che creano un loop di narrazioni e cortocircuitano longitudinalmente la storia in maniera colta, remixandone e riscrivendone continuamente il finale.