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panorama

Carlo e Fabio Ingrassia

Catania 1985

Vivono e lavorano a Milano

Studio visit di Francesca Guerisoli
Milano, 24 marzo 2022

Carlo e Fabio Ingrassia mi ricevono presso la loro abitazione. Una stanza è adibita a studio e dà su un giardino privato con un nespolo troppo cresciuto in altezza, forse nel tentativo di raggiungere i raggi del sole, limitati dal palazzo di fronte. In questa stanza silenziosa, i fratelli gemelli lavorano uno di fronte all’altro, attorno a un tavolo dove tutti gli strumenti del mestiere sono disposti con ordine e precisione, quasi come in una sala operatoria. Lascio il compito di evocarli a una fotografia, che introduce efficacemente ciò che è alla base del loro agire. La superficie del tavolo è quasi interamente occupata; al centro è posto il lavoro su cui sono impegnati da ottobre scorso e che presumono sarà concluso tra un paio di mesi. Si tratta di un piccolo oceano, un disegno su carta “auto-illuminato” dai bianchi quasi accecanti che descrivono le spume del mare che si infrange onda su onda. Il cartone Schoeller di 4×6,8 cm è visibile solo per un’area molto limitata. Una costante del loro lavoro è infatti quella di non vederlo mai al completo in fase di realizzazione, perché la sua superficie viene incorniciata da una struttura che definisce dei registri con l’obiettivo di concentrare lo sguardo su dettagli; attraverso i registri, gli artisti procedono con campiture di 3×3 mm.

Il lavoro di Carlo e Fabio Ingrassia a mio avviso più interessante è quello che, nella pratica, si concentra sulle campiture di colore tramite pastelli. Trovo sensato il loro raccontarsi come coloristi piuttosto che come disegnatori: non partono dal disegno, anzi, lo negano attraverso la messa in pratica di una tipologia di segno con campiture di colore piatte, uniformi, continue. Ottengono così dei disegni che mancano di segno, disegni-non-disegni. Dai lavori in studio emerge questa loro capacità di resa dell’opera senza alcun segno, priva e privata della superficie. Esemplare è la serie sulle velature Limiti del perdono, dove il segno appare continuo, privo di un inizio. Il processo è legato a microsfere, puntini molto ravvicinati, che depositano sulla superficie della carta senza esercitare alcuna pressione grazie all’affilatura delle matite colorate attraverso bisturi e pietra d’agata. La carta Schoeller, molto ricca di colla, consente loro di ridurre la distanza tra punto e punto donando una maggiore uniformità; sistemando la carta in alcuni spazi della casa per circa venti giorni, la polvere che vi si deposita la prepara a ricevere il colore. 

Quando sono entrata in contatto con uno dei lavori di Astrazione novecentista (2013), piccola serie di 8 x 8 cm che presenta vedute e facciate di edifici a pastello, così come di Bosco sacro (2018), ho avuto la necessità di osservarli con più attenzione perché l’impressione che ho avuto era che si trattasse di fotografie in bianco e nero colorate tramite velature. Bosco sacro, in particolare, mi ha evocato certe fotografie realizzate in Giappone nell’Ottocento, dipinte a mano con grande maestria. Questo effetto illusorio, quasi un sabotaggio dello sguardo, della percezione, una messa in crisi della nostra capacità di lettura di una tecnica, è una questione costante nei loro lavori, sebbene abbia notato anche un certa dissonanza tra un lavoro e l’altro, quasi che non si trattasse degli stessi artisti. La loro ricerca in generale, nelle opere bidimensionali così come nelle sculture e negli interventi ambientali, è pervasa da un continuo balletto con la percezione, tendono tranelli agli occhi (si accendono luci che non ci sono, si visualizza un bianco che non c’è), fanno emergere la forma (“il corpo”) dalla superficie e ci riescono grazie a un processo meticoloso che porta a lavori che richiedono anche anni per giungere a compimento. Altri, nati da un’idea precisa, cambiano nel corso del tempo e in genere vengono chiusi attraverso la sottrazione di alcuni elementi. In ogni caso, ritengo che la produzione più convincente dei gemelli Ingrassia sia quella relativa alle piccole opere su carta, dove le loro capacità tecniche giocano un ruolo di primissimo piano, come Astrazione novecentista e Bosco sacro: oggetti sussurranti, preziosi, che riescono a catalizzare lo sguardo dell’osservatore.