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Digital o Post-digital

L’arte nell’epoca del COVID

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Parlare del nostro rapporto con il digitale oggi non può prescindere da una breve considerazione riguardo al particolare momento in cui stiamo scrivendo questo saggio. Siamo ancora immersi, infatti, all’interno di una pandemia globale dovuta dall’avvento (un vero e proprio ‘avvenimento’) del COVID 19. Stiamo entrando nel terzo anno di pandemia e siamo quindi molto più abituati a muoverci all’interno di un mondo che non avremmo mai pensato potesse essere possibile, fatto di restrizioni, mascherine, distanziamenti e molto altro. In questo contesto, si registra un cambiamento importante relativo al rapporto instaurato con la tecnologia: abbiamo iniziato a usare il digitale come non avevamo mai fatto in precedenza. Da questo punto di vista, la pandemia può essere concepita come un grande laboratorio, un velocissimo acceleratore di particelle mentali che ha spinto quasi tutta l’umanità a strutturare un rapporto diverso con i dispositivi digitali.

Questi cambiamenti hanno ampiamente influenzato anche il mondo dell’arte, soprattutto se ci soffermiamo sulle ultime generazioni, quelle nate tra la fine degli anni Ottanta e Novanta. Generazioni che non a caso nel loro lavoro parlano proprio di una nuova identità in un mondo ipertecnologizzato: dalle metamorfosi del corpo a quelle identitarie, dalle questioni ambientali all’Antropocene, dall’abitare nuovi mondi virtuali all’utilizzo massiccio dei social media. È emerso, insomma, un atteggiamento di ricerca diverso rispetto a quello delle generazioni precedenti, nei riguardi di media complessi. Non siamo più in quell’orizzonte sperimentale, di esplorazione delle potenzialità del medium tipico della videoarte delle origini, della computer art o dei primi esempi di arte e robotica; come non siamo neanche nell’ottica di concepire i media come territorio nuovo da conquistare in modo politico ed economico (dalla net art alle prime forme di sperimentazione con la realtà virtuale). La tecnologia, invece, è per queste nuove generazioni qualcosa di assolutamente naturale, non di specifico, il mediascape all’interno del quale muoversi, il nuovo material engagement.

Il contesto digitale che stiamo vivendo, dunque, non è più quello che conoscevamo fino a qualche anno fa, e il motivo è, a un primo livello, meramente quantitativo, determinato da ciò che viene chiamato fenomeno dei big data. Il livello di quantità di dati ha raggiunto un grado assolutamente impensabile, tanto da poter affermare che «Nell’era dei big data, la quantità diventa qualità».

E qui passiamo a un secondo piano di interpretazione. Questa quantità di dati ha un impatto su di noi, sulla società e più in generale sulla prospettiva culturale con cui guardiamo al futuro dei nostri ecosistemi. Un universo che ha generato nuovi ‘attori’ tecnologici trascinatori di nuove economie e modelli sociali. Pensiamo allo sviluppo dell’intelligenza artificiale reso possibile dalla grande quantità di dati che la alimentano e allo stesso tempo necessaria risorsa, oggi, per districarsi all’interno di questi. O, anche, all’emersione di nuovi sistemi economici, quali la blockchain, che si disfano di molti attori tipici del ‘vecchio’ sistema economico. Così come lo sviluppo di nuove modalità di visione: «Today, virtual, augmented, and mixed reality, 3D movies, immersive videogames, flight or driving simulators, navigation systems like GPS, artificial interactive environments, and so on, bear witness to the advent of new practices of imaging and consequently to new forms of visuality, which do not necessary rely on an eye that tries to fill the gap between reality and its representation».

Tutto ciò ha avuto un impatto sull’arte, reso evidente, come dicevamo, dalle generazioni nate fra anni Ottanta e Novanta, le quali, con le loro ricerche, stanno allo stesso tempo immaginando e producendo nuovi futuri, nuove possibilità di vita all’interno degli ‘ecosistemi tecnologici’. Proprio per questo, per capire bene i nuovi territori, è assolutamente imprescindibile guardare al lavoro degli artisti non solo dal punto di vista della riflessione attivata dalla loro ricerca ma anche dall’impatto diretto che tale ricerca ha sulla società.

Tendenze
In un recente libro, commissionato dal ministero degli Affari esteri e della cooperazione internazionale per I quaderni della Farnesina, abbiamo identificato alcune tematiche principali che gli artisti stanno esplorando negli ultimi anni. Riproponiamo qui un elenco al quale aggiungeremo alcuni punti, rivisti però alla luce dei recenti sviluppi:

Iperintelligenza. L’intelligenza artificiale è oggi un settore in costante espansione ampiamente esplorato dagli artisti.

Antropocene. Dalle dibattute questioni sul postumano negli anni Ottanta si è passati oggi a un modo diverso di concepire un superamento dell’uomo attraverso il concetto di Antropocene. 

La nuova realtà dell’immagine. Le immagini sono ovunque e, al fianco di immagini più tradizionali, si legano forme immersive e aumentate (extended reality), computer vision e interattive (CGI, 3D, ecc.).

L’Expanded Internet Art. Concetto ripreso dal libro di Ceci Moss, che sottolinea l’onnipresenza di Internet in un mondo iperconnesso.

L’universo sonoro. Il suono, spesso messo in secondo piano, è oggi una componente fondamentale nel mondo dell’arte, spesso identificato sotto la definizione sound art.

L’artista inventore. Con questa etichetta si vuole identificare una tendenza degli artisti a lavorare in contesti non convenzionali (laboratori scientifici, aziende tecnologiche, ecc.) creando nuove sinergie con il mondo dell’innovazione scientifica e tecnologica.

Come si vede, l’elenco, che qui non abbiamo il tempo di sviluppare nel dettaglio, non è strutturato in base alla tecnologia utilizzata, come poteva essere ancora fino a qualche anno fa. Piuttosto, si basa su macroaree concettuali sviluppate cercando di analizzare la ricerca artistica all’interno di un universo tecnologico. In un’epoca in cui non possiamo più definire dove inizi e finisca un medium, diventa impossibile identificare campi specifici determinati, quali robotic art, genetic art, digital art, ecc. Nel momento in cui la tecnologia è ovunque, i media sono ubiqui e sembra sempre più complicato parlare di un settore specifico ‘arte e tecnologia’, diventa importante guardare all’arte come a un territorio di investigazione, di riflessione a-teorica sulla nostra società ipertecnologica.

La questione italiana
Nonostante gli artisti italiani continuino a non avere il giusto riconoscimento all’estero (e spesso neanche in Italia), molte loro ricerche possono essere annoverate fra le più interessanti in questi ambiti, anche a livello internazionale. L’Italia è sicuramente un territorio di incontro e confronto fra tutte queste tensioni, gli artisti italiani lavorano oggi confrontandosi con artisti e contesti esteri, rendendo sempre più difficile parlare di ‘identità’ o di ‘essenza’ italiana. Il concetto di ‘identità’ viene dunque a cadere, soprattutto nelle ricerche degli artisti che usano la tecnologia, a favore di un atteggiamento interpretativo meno netto: forse più che di identità si dovrebbe parlare di ‘somiglianze di famiglia’, per usare la nota formula di Wittgenstein.

Pensiamo a un artista come Quayola, che si confronta con il contesto internazionale spaziando dal video alla robotica, dalla computer graphic alle stampe, inglobando tecnologie avanzate come la tecnica di rilevamento LiDAR (Light Detection and Ranging). Non c’è specificità del medium, le sculture con braccio robotico di Quayola sono la diretta conseguenza del lavoro sul video, attraverso la ripresa di iconografie classiche del passato, esattamente come le sue opere sulla natura sviluppate attraverso il video, in cui l’immagine si autodipinge come in un quadro espressionista, o attraverso avanzatissimi scanner che rivelano un intero ambiente naturale.

Più politico il lavoro di Elisa Giardina Papa, che interpreta il modo in cui oggi ci rapportiamo a questioni di gender, sessualità, lavoro, attraverso tecnologie complesse come l’intelligenza artificiale. Pensiamo a Cleaning Emotional Data (2020), in cui analizza nuove forme di lavoro precario, microworkers incaricati di etichettare, categorizzare, annotare e validare una grande quantità di dati che possano abilitare una intelligenza artificiale.

Il lavoro di Invernomuto (Simone Bertuzzi e Simone Trabucchi) è, invece, un perfetto esempio di ricerca intorno al rapporto fra universo sonoro e visivo. Attraverso installazioni site specific, Invernomuto analizza le subculture, i linguaggi vernacolari che fanno da sottofondo alle nostre mitologie. Come in Black Med (2019), una piattaforma contenente un archivio di voci intorno all’idea di Mediteranno nero. 

Sono molti i nomi che si potrebbero analizzare, senza purtroppo avere qui il tempo di farlo. Ciò che è fondamentale capire, da tutti questi esempi, è l’importanza oggi dell’arte non solo come settore innovativo per il mondo contemporaneo ma anche come un motore di innovazione per la società più in generale. Un modo per orientarsi nelle grandi sfide che l’umanità affronterà nel XXI secolo in un futuro post-Coronavirus.